Dr Vinicio Perrone
INTRODUZIONE
In presenza di gravi lesioni articolari secondarie a fratture o a processi degenerativi,
come l’osteoartrosi (OA), l’Artrite Reumatoide (AR) e l’Artrite Psoriasica (AP), la soluzione
un tempo prospettata al paziente era quella di sacrificare l’articolazione mediante l’artrodesi,
con la conseguente perdita del movimento.
I recenti modelli protesici in uso sulla mano sono realizzati in pirocarbonio (PC),
riproducono l’anatomia dell’articolazione che si va a sostituire, le componenti non sono
vincolate, preservano le strutture capsulo-legamentose ed ossee (bon-stock).
Attualmente diversi sono i modelli protesici disponibili per la mano: possiamo
classificarli in artroprotesi, emi-artroprotesi e spaziatori inter-articolari.
Le atroprotesi sono composte da due componenti non vincolate. Vi è un modello per
l’articolazione interfalangea prossimale delle dita della mano ed uno per l’articolazione
metacarpo-falangea della mano.
Le “emi-artroprotesi”, diversamente dalle precedenti, si compongono di una sola
componente che sostituisce una delle superfici ossee usurate andando a contatto diretto con la
superficie articolare corrispondente opposta. Vengono sfruttate, quindi, le caratteristiche di
biocompatibilità, elasticità e basso coefficiente di attrito del pirocarbonio. A questa classe di
impianti appartiene la protesi trapezio-metacarpale destinata ai casi di rizoartrosi nella forma.
Infine, vi sono gli “spaziatori”, che vanno a sostituire quelle ossa carpali collassate o
gravemente alterate nella loro anatomia a causa del processo artrosico erosivo. Lo spaziatore,
denominato PI2 viene usato nei casi di grave rizoartrosi, con l’obiettivo di impedire il collasso
del primo osso metacarpale sullo scafoide, preservando così i bracci di leva della muscolatura
e quindi il movimento e la forza del pollice.